Un altro mondo è possibile

La forza dei sogni e della creatività

Se, come diceva il testo di una famosa canzone, dal letame nascono i fiori, dall’immondizia può nascere la musica.

“The world send us garbage…we send back music.”

(Il mondo ci invia immondizia…noi restituiamo musica).

Favio Chavez, Orchestra Director

I residenti di Cateura, Paraguay, non soltanto cercano di vivere al meglio in mezzo ai massicci mucchi di rifiuti che soffocano la loro città. No.
Mentre il mondo intero produce un trilione di tonnellate di rifiuti all’anno, mentre il resto del mondo parla di salvaguardia dell’ambiente e cerca di trovare soluzioni possibili ai disastri ecologici, a Cateura, Paraguay, un uomo ha escogitato un modo molto creativo per promuovere il riciclo, il rispetto dell’ambiente, la consapevolezza sociale, l’amore per la musica e soprattutto  l’educazione dei ragazzi.
Qui, da una discarica, un “selezionatore di immondizia” soprannominato “Cola”, un maestro di musica, Favio Chavez, e un gruppo di ragazzi che abitano i bassifondi vicino ad una discarica generano bellezza.
I rifiuti opportunamente riciclati e assemblati sono diventati strumenti musicali e i ragazzi educati con passione sono diventati i componenti di una vera orchestra: The Recycled Orchestra of Cateura.

Le immagini che seguono sono state scattate da Jorge Adorno (Paraguay) il 22 maggio 2013.

Il potere dei sogni e della creatività.

Da questa esperienza è nato anche un documentario: “Landfillharmonic”.
Un documentario sul potere trasformativo della musica e sulla denuncia delle due questioni fondamentali della nostra società moderna: la povertà e l’inquinamento.

Qui potete ascoltare il maestro Favio Chavez al TEDx talks di Amsterdam.

Questo  il sito ufficiale della LandFillharmonic Orchestra.

Scrissi questo articolo anni fa per il mio vecchio blog, lo ripropongo perché  è più che mai attuale ed è soprattutto un esempio virtuoso capace di scuotere gli animi.

Quello che segue è il trailer del documentario:

M’illumino di Blu

Torna la campagna mondiale “Light it up blue” (illuminalo di blu), #LIUB, ideata dall’organizzazione Autism Speaks, promossa dall’Onu e giunta ormai alla sua dodicesima edizione. Il 2 aprile infatti si celebra la Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo istituita dalle Nazioni Unite nel 2007.

Obiettivo della giornata è quello di “far luce” su questo disturbo del neurosviluppo, i cui sintomi appaiono tipicamente durante i primi tre anni di vita, promuovendo la ricerca e il miglioramento dei servizi e contrastando la discriminazione e l’isolamento di cui purtroppo ancora sono vittime le persone autistiche e i loro familiari.
La campagna prevede di illuminare di blu i principali monumenti delle città di tutto il mondo per sensibilizzare i cittadini del mondo nei confronti delle problematiche legate ai disturbi dello spettro autistico.

Blu: il colore della calma, dell’affidabilità, della conoscenza.

Dall’Empire State Building di New York alla Willis Tower di Chicago, dalla CN Tower di Toronto alla Burjul Mamlakah –Kingdom Tower di Riyadh in Arabia Saudita, dalla Statua del Cristo Redentore a Rio de Janeiro alla Fontana dei Dioscuri del Quirinale, ovunque nel mondo si illumineranno i più famosi monumenti e si registreranno eventi di solidarietà e sostegno alle persone autistiche e alle loro famiglie.

Lo slogan lanciato dalla campagna “Light it up blue”, voluta da Autism Speaks, è: “Non chiudere la porta alla conoscenza, accendi una luce blu”, per sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di una sindrome che negli ultimi 40 anni ha aumentato la sua incidenza e che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, a livello globale colpisce 1 bambino su 160.

In Italia saranno molte le piazze e i monumenti che si illumineranno di blu. E per l’occasione tornerà la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi #sfidAutismo19 della Fondazione Italiana Autismo (FIA) per contribuire a migliorare la qualità della vita delle persone affette da sindrome dello spettro autistico e delle loro famiglie, ma anche per sostenere la ricerca.

Ancora una volta l’ARTE si evidenzia come potente mezzo di sensibilizzazione e integrazione sociale e culturale.
Tutte le informazioni sugli eventi italiani della Giornata internazionale dell’Autismo si possono trovare sul sito della Fia (Fondazione italiana per l’autismo) all’indirizzo: http://www.fondazione-autismo.it/
QUI il sito di Portale Autismo
QUI lo speciale Rai Scuola web e social che per l’occasione ha realizzato uno speciale che raccoglie interviste, documentari, esperienze teatrali e di cineclub che hanno come protagonisti ragazzi e bambini affetti da disturbi dello spettro autistico.

Il coraggio della creatività

Importanti esperimenti spontanei nel corso della costruzione di una forma originale. Nel mio studio.

Come affermava Henri Matisse la creatività richiede coraggio.

Ci vuole coraggio ad essere creativi.

Da adulti.

Coraggio, termine la cui etimologia riconduce alla parola cuore.

E’ il coraggio di percorrere una strada nuova, forse impervia, ma nostra, che non sia stata già battuta da qualcun altro.

Il coraggio di tentare per prove ed errori creando e dando forma a qualcosa che risponde esattamente a noi stessi.

Il coraggio di accettare ciò che ne deriverà, pur se “imperfetto”, insoddisfacente, non piacevole, ma perfettibile, perché frutto della nostra unicità, del nostro essere genuinamente noi stessi e non la sbiadita copia di qualcun altro.

Ascoltare il cuore, mettere il cuore nelle cose e quindi il cor-aggio, mettendo a tacere il severo critico interiore e il timore di essere inadeguati agli occhi degli altri.

I bambini sono eccellenti in questo. Osserviamoli giocare, disegnare, vivere.

Se consentiamo loro libertà, pur proteggendoli attraverso poche ma ferme e semplici regole, ecco che meravigliosamente li vedremo sperimentare, inventare, escogitare nuove ed impreviste soluzioni, giungere ad inattese scoperte per le quali proveranno entusiasmo e fierezza.
Imparano così a gestire le frustrazioni, inevitabili, del percorso di prove e tentativi, sperimentando infine una sensazione di efficacia e competenza.

E’ nella loro natura. Nella natura dell’essere umano.

O meglio, sarebbe.

Quante volte noi adulti nutriamo e sosteniamo la loro creatività?

Oppure quante volte essa viene soffocata, tarpata, o liquidata come incapacità di fare le cose nel “modo giusto”, come insubordinazione verso l’adulto?

E questi bambini potranno crescere come adulti creativi?

Ovvero come adulti capaci di integrare la parte vitale del proprio vero Sé, quella che comprende tutta la gamma delle proprie autentiche emozioni, sia piacevoli oppure no, e tutti quegli autentici modi di essere nel mondo, che non siano soltanto connessi al soddisfacimento delle aspettative altrui o all’adeguamento di se stessi ad una immagine Ideale di sé?

D’altro canto, adulti eternamente compiacenti alla realtà esterna e terrorizzati all’idea di mettersi integralmente in gioco e di sbagliare, potranno forse consentire ai bambini di crescere e maturare in un percorso di prove ed errori? O tenderanno all’ossessivo controllo degli stessi e alla stigmatizzazione dell’errore, in un perpetuarsi di un’insicurezza affettiva e di un impoverimento psichico?

Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista britannico (Plymouth 1896 – Londra 1971), nel suo trattato “Gioco e realtà”, pubblicato a New York nel 1971, sostiene:

“È la percezione creativa, più di ogni altra cosa, che fa sì che l’individuo abbia l’impressione che la vita valga la pena di essere vissuta.

In contrasto con ciò vi è un tipo di rapporto con la realtà esterna che è di compiacenza, per cui il mondo ed i suoi dettagli vengono riconosciuti solamente come qualcosa in cui ci si deve inserire o che richiede adattamento.

La compiacenza porta con sé un senso di futilità per l’individuo e si associa all’idea che niente sia importante e che la vita non valga la pena di essere vissuta. In maniera angosciante molte persone hanno avuto modo di sperimentare un vivere creativo in misura appena sufficiente per permettere loro di riconoscere che, per la maggior parte del tempo, vivono in modo non creativo, come imbrigliate nella creatività di qualcun altro o di una macchina”.

(D. Winnicott, Gioco e Realtà, Ed. Armando 1974, Cap. quinto, La creatività e le sue origini, L’idea di creatività, pag.119)

E nel febbraio del 2006 Sir Ken Robinson, autore inglese, conferenziere e consigliere internazionale sull’educazione, per i governi e le istituzioni no-profit, nel corso del TED (Technology Entertainment Design) in cui espone un’argomentazione a favore della creazione di un sistema educativo che nutra la creatività (anziché metterla a repentaglio), dichiara:

“…i bambini si buttano. Se non sanno qualcosa, ci provano. Giusto? Non hanno paura di sbagliare. Ora, non voglio dire che sbagliare è uguale a essere creativi. Ciò che sappiamo è che se non sei preparato a sbagliare, non ti verrà mai in mente qualcosa di originale. Se non sei preparato a sbagliare. E quando diventano adulti la maggior parte di loro ha perso quella capacità. Sono diventati terrorizzati di sbagliare. E noi gestiamo le nostre aziende in quel modo, stigmatizziamo errori. E abbiamo sistemi nazionali d’istruzione dove gli errori sono la cosa più grave che puoi fare. E il risultato è che stiamo educando le persone escludendole dalla loro capacità creativa. Picasso una volta disse che tutti i bambini nascono artisti. Il problema è rimanerlo anche da adulti. Io sono convinto che non diventiamo creativi, ma che disimpariamo ad esserlo. O piuttosto, ci insegnano a non esserlo. Dunque perché è così?”

Pensiamoci.

Qui il video del suo intervento.

La creatività per resistere all’orrore

La memoria è indispensabile per fare i conti con l’esperienza e per trarne insegnamento. La negazione, invece, ripara dal dolore e dal senso di responsabilità, ma preclude la possibilità di evolversi.

Oggi, nella Giornata della Memoria intendo portare un piccolo contributo raccontando la storia di Friedl Dicker Brandeis (Vienna, 30 luglio 1898 – Birkenau, 9 ottobre 1944) un’artista, insegnante austriaca di origine ebraica e arteterapeuta ante litteram , vittima dell’Olocausto.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Germania Nazista costruì in tutta Europa circa 15.000 campi, tra cui figura anche quello di Terezin, Theresienstadt in tedesco, tristemente noto come “Il lagher dei bambini” perché degli oltre 15.000 che vi avevano fatto ingresso, finita la guerra solo poco più di 1.000 erano sopravvissuti.

Terezin, città della Repubblica Ceca a 60 km a nord di Praga, in tedesco Theresienstadt, fu come un campo di propaganda, un modello di insediamento ebraico pensato ed utilizzato dalle SS come camuffamento della soluzione finale che andava attuandosi.
Se in quanto a orrore aveva attinenza con gli altri campi di concentramento (fame, malattia e morte erano ben presenti), presentava però una sua unicità: al suo interno, proprio perché Propagandlager, veniva consentito di impartire lezioni ai piccoli prigionieri ed era possibile praticare l’arte, la musica e il teatro, seppur con gli scarsissimi mezzi a disposizione.
Numerosi artisti di spicco ed intellettuali risiedevano nel campo e si prodigavano a tal fine.
Lo straordinario lavoro di Friedl Dicker Brandeis con i bambini è a tutt’oggi oggetto di approfondimento.

L’opera di Friedl Dickers Brandeis e il seme dell’arteterapia.

Friedl Dicker Brandeis, pioniera dell’Arteterapia, nacque a Vienna nel 1898. Artista molto dotata e di grande spessore umano, fu architetto, disegnatrice di moda, fotografa, pittrice, insegnante.Allieva di Franz Cìzek dal 1915 al 1916 e di Johannes Itten dal 1916 al 1919 seguirà quest’ultimo a Weimar (1919-1923) perché convocato da Walter Gropius presso la Bauhaus insieme agli artisti più innovativi dell’epoca (Paul Klee, Vassilij Kandinskij, Làszlò Moholy, Lyonel Feininger et al.) con l’incarico di docente, La ferma convinzione di Gropius era che il luogo dell’artista fosse la scuola ed il suo compito sociale fosse l’insegnamento.
Friedl Dickers-Brandeis fu dapprima allieva, approfondendo lo stile e l’insegnamento di Itten, poi docente. Tornata a Vienna aprì un atelier di architettura ed arredamento, ma nel 1934 l’evolversi della situazione politica e sociale la vedrà arrestata per attivismo politico e tacciata di comunismo. Assolta e liberata si trasferirà a Praga, invano alla ricerca di quiete: nel 1942 a causa delle leggi razziali e delle persecuzioni naziste verrà arrestata e deportata nel ghetto di Terezin dove opererà a stretto contatto con i bambini, consentendo loro di vivere momenti di creatività capaci di distrarli dall’angoscia e dall’orrore.

 

Friedl in una fotografia di Johannes Beckmann nel 1936 ca. foto tratta dal web

Nel corso della sua esperienza di didatta, Friedl aveva sempre messo in pratica i principi artistici della Bauhaus arricchendoli successivamente di spunti tratti dalle teorie montessoriane con le quali era venuta in contatto e dalle quali era rimasta affascinata. Nel suo lavoro di pedagoga le si era affiancata a Vienna, e non aveva esitato a seguirla a Praga, una giovane allieva: Edith Kramer.

Ecco le parole di Edith Kramer:

“Quando ero a Praga tenevo dei corsi a bambini rifugiati tedeschi con Friedl Dicker. Il suo atteggiamento e le modalità di trattamento mi influenzarono molto ed ebbi l’occasione di imparare molto da lei…Quando Friedl fu internata nel campo di Terezin con la popolazione del ghetto, ha continuato a lavorare e ad insegnare ai bambini e questi lavori si sono salvati. Quando vidi, nel dopoguerra, questi lavori salvati miracolosamente, fui impressionata dallo stato di salute dei bambini che vivevano in condizioni così dure. Questi bambini malgrado la situazione avevano avuto una buona infanzia che permetteva loro di fare arte”.

Friedl notò chiaramente come le ore dedicate all’insegnamento dell’arte, all’interno del ghetto di Terezin, fossero divenute per i bambini e per i ragazzi fondamentali per esprimere sensazioni come la paura e lo sconforto o per ripristinare, seppur per pochi istanti equilibri emotivi che inevitabilmente eventi di tale drammaticità andavano a scombussolare.
Iniziò dunque ad annotare le proprie osservazioni e considerazioni circa il valore dell’arte nell’infanzia e nell’adolescenza soprattutto come strumento di sostegno e aiuto, proponendosi di approfondire questa tematica una volta terminata la guerra. A tal proposito, Friedl decise di catalogare con nome e data di realizzazione i disegni dei bambini e di nasconderli accuratamente in alcune valigie. Le valigie furono prelevate dall’esercito russo dopo la fine della guerra grazie all’aiuto di una delle studentesse di Friedl di nome Raja.
I quasi cinquemila disegni (tra i quali molti anche della stessa Friedl) vennero custoditi a Praga dal professor William Groag che decise di mostrare la collezione al pubblico solamente una decina di anni dopo il loro rinvenimento.

Buona parte dei disegni degli studenti di Friedl sono in seguito stati acquisiti dal museo ebraico di Praga e dal Beit Therensiestadt di Israele.

Friedl Dicker salì su un vagone destinato ad Auschwitz il 28 settembre 1944 per seguire il marito Pavel Brandeis. Morì undici giorni dopo. Il marito si salvò, per ironia della sorte.

Edith Kramer si trasferì negli U.S.A. e nell’immediato dopoguerra iniziò a sostenere che l’arte fosse in grado di attivare processi psicologici non soltanto attraverso l’espressione simbolica di contenuti interni ed emotivi, ma anche attraverso il processo e l’atto artistico e creativo stessi. Dall’esperienza e dagli studi di Edith Kramer e da successive contaminazioni/rielaborazioni con un approccio psicodinamico, in collaborazione con la New York University e dopo il suo ritorno in Europa, ha avuto origine l’orientamento metodologico della mia formazione in Arteterapia Clinica.

Un video:

Friedl Dicker-Brandeis: The Redemptive Power of Art

Referenze:

Friedl Dicker Brandeis

Creative Life in a Concentration Camp: Art Therapist & Professor Linney Wix on Friedl Dicker-Brandeis

TEREZIN, IL LAGER DEI BAMBINI  

Le fotografie presenti nell’articolo sono tratte dal web.