Il coraggio della creatività

Importanti esperimenti spontanei nel corso della costruzione di una forma originale. Nel mio studio.

Come affermava Henri Matisse la creatività richiede coraggio.

Ci vuole coraggio ad essere creativi.

Da adulti.

Coraggio, termine la cui etimologia riconduce alla parola cuore.

E’ il coraggio di percorrere una strada nuova, forse impervia, ma nostra, che non sia stata già battuta da qualcun altro.

Il coraggio di tentare per prove ed errori creando e dando forma a qualcosa che risponde esattamente a noi stessi.

Il coraggio di accettare ciò che ne deriverà, pur se “imperfetto”, insoddisfacente, non piacevole, ma perfettibile, perché frutto della nostra unicità, del nostro essere genuinamente noi stessi e non la sbiadita copia di qualcun altro.

Ascoltare il cuore, mettere il cuore nelle cose e quindi il cor-aggio, mettendo a tacere il severo critico interiore e il timore di essere inadeguati agli occhi degli altri.

I bambini sono eccellenti in questo. Osserviamoli giocare, disegnare, vivere.

Se consentiamo loro libertà, pur proteggendoli attraverso poche ma ferme e semplici regole, ecco che meravigliosamente li vedremo sperimentare, inventare, escogitare nuove ed impreviste soluzioni, giungere ad inattese scoperte per le quali proveranno entusiasmo e fierezza.
Imparano così a gestire le frustrazioni, inevitabili, del percorso di prove e tentativi, sperimentando infine una sensazione di efficacia e competenza.

E’ nella loro natura. Nella natura dell’essere umano.

O meglio, sarebbe.

Quante volte noi adulti nutriamo e sosteniamo la loro creatività?

Oppure quante volte essa viene soffocata, tarpata, o liquidata come incapacità di fare le cose nel “modo giusto”, come insubordinazione verso l’adulto?

E questi bambini potranno crescere come adulti creativi?

Ovvero come adulti capaci di integrare la parte vitale del proprio vero Sé, quella che comprende tutta la gamma delle proprie autentiche emozioni, sia piacevoli oppure no, e tutti quegli autentici modi di essere nel mondo, che non siano soltanto connessi al soddisfacimento delle aspettative altrui o all’adeguamento di se stessi ad una immagine Ideale di sé?

D’altro canto, adulti eternamente compiacenti alla realtà esterna e terrorizzati all’idea di mettersi integralmente in gioco e di sbagliare, potranno forse consentire ai bambini di crescere e maturare in un percorso di prove ed errori? O tenderanno all’ossessivo controllo degli stessi e alla stigmatizzazione dell’errore, in un perpetuarsi di un’insicurezza affettiva e di un impoverimento psichico?

Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista britannico (Plymouth 1896 – Londra 1971), nel suo trattato “Gioco e realtà”, pubblicato a New York nel 1971, sostiene:

“È la percezione creativa, più di ogni altra cosa, che fa sì che l’individuo abbia l’impressione che la vita valga la pena di essere vissuta.

In contrasto con ciò vi è un tipo di rapporto con la realtà esterna che è di compiacenza, per cui il mondo ed i suoi dettagli vengono riconosciuti solamente come qualcosa in cui ci si deve inserire o che richiede adattamento.

La compiacenza porta con sé un senso di futilità per l’individuo e si associa all’idea che niente sia importante e che la vita non valga la pena di essere vissuta. In maniera angosciante molte persone hanno avuto modo di sperimentare un vivere creativo in misura appena sufficiente per permettere loro di riconoscere che, per la maggior parte del tempo, vivono in modo non creativo, come imbrigliate nella creatività di qualcun altro o di una macchina”.

(D. Winnicott, Gioco e Realtà, Ed. Armando 1974, Cap. quinto, La creatività e le sue origini, L’idea di creatività, pag.119)

E nel febbraio del 2006 Sir Ken Robinson, autore inglese, conferenziere e consigliere internazionale sull’educazione, per i governi e le istituzioni no-profit, nel corso del TED (Technology Entertainment Design) in cui espone un’argomentazione a favore della creazione di un sistema educativo che nutra la creatività (anziché metterla a repentaglio), dichiara:

“…i bambini si buttano. Se non sanno qualcosa, ci provano. Giusto? Non hanno paura di sbagliare. Ora, non voglio dire che sbagliare è uguale a essere creativi. Ciò che sappiamo è che se non sei preparato a sbagliare, non ti verrà mai in mente qualcosa di originale. Se non sei preparato a sbagliare. E quando diventano adulti la maggior parte di loro ha perso quella capacità. Sono diventati terrorizzati di sbagliare. E noi gestiamo le nostre aziende in quel modo, stigmatizziamo errori. E abbiamo sistemi nazionali d’istruzione dove gli errori sono la cosa più grave che puoi fare. E il risultato è che stiamo educando le persone escludendole dalla loro capacità creativa. Picasso una volta disse che tutti i bambini nascono artisti. Il problema è rimanerlo anche da adulti. Io sono convinto che non diventiamo creativi, ma che disimpariamo ad esserlo. O piuttosto, ci insegnano a non esserlo. Dunque perché è così?”

Pensiamoci.

Qui il video del suo intervento.